Sono considerazioni sicuramente opinabili, quelle che lo scrittore Fulvio Abbate dedica oggi alla farmacia in un articolo pubblicato dal quotidiano on line linkiesta.it, significativo fin dal titolo: Integratori, vitamine, macrobiotici: nelle farmacie sono scomparsi i farmaci. Ma, ciò non di meno, possono offrire qualche utile stimolo a ragionare non tanto e non solo sulle profonde trasformazioni che le farmacie hanno conosciuto nel breve volgere di un paio di decenni, ma su come queste abbiano impattato e potranno ulteriormente impattare sull’opinione pubblica.
È ben vero che per molti italiani, in questi tempi più sventurati che avventurati dove la cultura è considerata un inutile cascame radical chic, uno scrittore tutto è, per definizione, fuorché un esponente della “gente” comune, e dunque le sue opinioni non possono essere considerate molto rappresentative. Ma non è meno vero che proprio scrittori e artisti in genere sono (da sempre) i più acuti rivelatori dello spirito dei tempi che scorre, spesso carsico e invisibile, nel profondo di un’epoca.
Ciò che pensa e dice Abbate delle farmacie del 2019, che “non sono più quelle di una volta, non assomigliano affatto a se stesse” e “sempre più ricordano gli ipermercati, quasi la stessa linea tratteggiata sui pavimenti, come in un’ennesima Ikea del mondo, per condurre verso l’uscita, accompagnandoti, scaffale dopo scaffale, negli acquisti, assenti ormai alla vista i prodotti farmaceutici, celati agli occhi” merita dunque – almeno a giudizio di RIFday – una lettura e una riflessione. Anche solo per contestarlo e per discuterne, provando a capire il verso significato e le possibili conseguenze della mutazione raccontata da Abbate, che ha portato a fare delle farmacie luoghi che, oltre a non mostrare più “alcuna livrea grafica di genere medicinale”, hanno di fatto cancellato, senza più contemplarla, “la nozione visiva della sofferenza e della morte (…) occultate dalle confezioni del benessere. I medicinali, se ancora lì presenti, occorre immaginarli stipati, castigati, lontani dalle pupille della clientela, esiliati oltre un muro.”
“Eppure, salvo smentite” osserva Abbate “non sembra che nel frattempo le malattie – non dico i tumori, ma i semplici virus influenzali di stagione – siano state cancellate dal nostro quotidiano, e gli ospedali riconvertiti in sale-giochi, palestre. E tuttavia, ripetiamo, le farmacie non mostrano ormai neanche sentore delle preparazioni galeniche, si insinua addirittura che i farmacisti non siano più abituati a realizzarle. Svaniti anche le provette, le storte, i bilancini”.
Abbate, insomma, sembra chiedersi (riferendosi alla farmacia sotto casa dove si è recato) che posto sia quello dove lo guardo sugli scaffali restituisce cartelli dei prodotti che “recitano così: Integratori, Alimentazione naturale, Cura del capello, Cura del corpo, Igiene intima, Igiene orale, poi ancora “scaffali in allestimento”, Igiene e cura della persona, Vitalità, Per la famiglia, Emozioni per la pelle, Regalati un momento di relax, Il mio bebè, Il punto di vista, Ladies & Senior (cioè i pannoloni per l’incontinenza, ah, ecco finalmente un riferimento alla terza età!), Antidolorifici, e infine: Tosse e mal di gola, Stagionali come unica traccia della malattia, e, sul fondo, come in un obitorio segreto, i raccoglitori, simili appunto ai cassetti delle sale di dissezione, i medicinali negati alla vista, appunto“.
Abbate “infierisce”, aggiungendo alla lista dei cartelli quelli dei “Prodotti in promozione, Collagene, Shampoo purificante, Pancia piatta, Macrobiotici, Digestivi, Camomilla, Risveglio di Buddha, Super colazione, Glutine, Crusca, Pasta con alto contenuto di fibre, Make up, Fondotinta, Matite, Trucchi per ricompattare, Cipria compatta, Fondotinta opacizzante, Fondotinta liquido (…) Perfino il caro inoffensivo inalatore nasale del Vicks non raggiunge gli occhi. Qui nella farmacia sotto casa, dove un tempo erano esposti, come tracce di un’era trascorsa, i flaconi medicinali di una belle époque farmaceutica non meno spazzata via, trovo invece un cartonato per sconfiggere i capelli fragili sfibrati”.
Lo straniamento di Abbate è con ogni probabilità anche il prodotto della frattura tra la sua idea di farmacia, maturata e interiorizzata nel suo vissuto (lo scrittore è nato negli anni ’50 e ha dunque esperienza di una farmacia “altra” da quella di oggi) e l’aspetto odierno di questi esercizi, sviluppatosi sugli imperativi del marketing e del category management, ma ha il merito di sollevare un interrogativo di ordine ontologico: alla lunga, questa farmacia diventata “non luogo” – simile come è ormai diventata a una pletora di altri esercizi commerciali – riuscirà ad affermare, al solo mettervi piede, la sua identità di presidio e tempio di salute, che peraltro a parole è reclamatissima dalle sue organizzazioni di rappresentanza? E “senza pretendere il ritorno degli antichi dottori in camice bianco stazzonato, pizzetto e baffi risorgimentali, come i personaggi di Giamburrasca”, come scrive Abbate, c’è ancora spazio e tempo per fare sì che (anche ai tempi delle aggregazioni, delle catene e delle omologazioni) le farmacie tornino per quanto possibile ad assomigliare a se stesse?
‘dati ripresi dal sito www.RIFDay.it